La metodologia dell’osservazione, secondo la psicoanalisi, è di tipo interpretativo. I vari aspetti della vita del bambino sono osservati solo a partire da quello che l'educatrice sente emotivamente nell'incontro, nel rapporto con il bambino. Il problema per la psicoanalisi è quello di spiegare ciò che appare attraverso ciò che non appare. Poichè il centro dell'attenzione si sposta da ciò che e manifesto a ciò che è latente, ciò che si osserva è "l'altra scena della realtà", quella "degli affetti, dei vissuti, della fantasia, dei fantasmi". Perciò, nell'osservazione di un altro essere umano, l'osservatore, nel nostro caso l'educatrice, non può considerare l'oggetto osservato e cioè il bambino come un oggetto morto da vivisezionare, ma come un oggetto vivo che entra in una "intima relazione" con l'osservatore stesso. In questa "intima relazione" si definisce in termini storici e personali una influenza del sè sull'oggetto (dell'educatrice sul bambino) e dell'oggetto sul sé dell'osservatore (del bambino sull'educatrice). Qualora si tenti di esorcizzare questa reciproca influenza negandola si ha "l'illusione di osservare". Cosicchè ciò che per gli etologi va puntigliosamente eliminato dagli psicoanalisti viene appassionatamente considerato. Gli strumenti sofisticati di rilevazione, ed anche quelli meno sofisticati (come la rilevazione carta e matita) sono visti come ostacolo all'osservazione. La rilevazione di per sè è intesa come ostacolo, anzi come difesa dal coinvolgimento emotivo. Il problema nel nostro caso diventa quello di costruire la propria capacità di conoscere scoprendo, nel rapporto, che il bambino che e di fronte a noi evoca il bambino che è dentro di noi. Ciò avvicina il ruolo dell'educatore al ruolo del genitore. L'educatore di fronte al bambino da una parte tende a differenziarsi dal ruolo di genitore circoscrivendo il proprio comportamento alla funzione istituzionale e perciò rinunciando a " qualsiasi familiarità" nel rapporto e riducendo il bambino ad "allievo", dall'altra tende ad accomunarsi al ruolo ed alla posizione del genitore nei confronti del bambino. Ciò avviene proprio a partire dal fatto che gli educatori "sono, come i genitori, degli adulti in rapporto educativo con i bambini". L'educatore" si trova di fronte a due bambini: a quello da educare, dinanzi a lui, e a quello rimosso, dentro di lui. Non può fare altro che trattare quello così come ha vissuto in sé questo". E' solo a partire da una continua opera di analisi delle componenti transferali e controtransferali che ci sono nel rapporto con ciascun bambino che è possibile superare l'azione educativa così come avviene, quando l'educatore agisce inconsciamente "sotto la spinta della propria costellazione edipica". I risultati che e possibile raggiungere ponendosi nell'ottica psicoanalitica quindi sono alquanto diversi rispetto a quelli degli etologi. L' interazione, non è vista tanto nei suoi contenuti rilevabili, quanto come una "intima relazione" in cui prevalgono i contenuti emozionali (tant'è vero che, in psicoanalisi, si preferisce parlare più di rapporto, di incontro, che di interazione); ciò che si costruisce nel bambino e nell'educatore non è qualcosa che sia facilmente incasellabile nei due binari della stabilità e dell'individuazione, o qualcosa che si discosta da queste, ma è un complesso fenomeno di identificazioni reciproche (reso ancora più complesso dalle reciproche identificazioni esistenti fra educatrici e genitori); perchè vi sia un consolidamento del sentimento di identità nel bambino ci deve essere una capacità da parte dell'educatrice (come prima della madre) di andare oltre la stabilità e l'individuazione nel rapporto, di rischiare, di avvicinarsi al bambino, di iscriverlo in un progetto pedagogico che non sia altro che questo rischio e la capacità di "uscirne fuori" non sotto la spinta inconscia a ripetere e a rivivere i vecchi conflitti della propria infanzia, ma recuperando una operatività che nasce dall'incontro di due esseri che possono reciprocamente arricchirsi. In conclusione l'approccio psicoanalitico propone una strada di riavvicinamento al bambino e prima di tutto al bambino che è dentro di noi, che rifugge dai falsi avvicinamenti ottenuti attraverso le griglie ed i curricoli. Un approccio cioè che può permettere un incontro col bambino, e non una ennesima lettura dell'infanzia. Ciò però a patto che a fianco all'integrazione spaziale e temporale vi sia il vincolo decisivo della integrazione sociale, cioè a patto che la psicoanalisi non rinunci alla storicizzazione del bambino.
Fonte:www.lacosapsy.com/nidi.htm
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14 anni fa
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