giovedì 9 settembre 2010

L'orientamento pedagogico del nido M. da Cles di Albignasego

Il nido favorisce lo sviluppo delle potenzialità dei bambini nel rispetto dei loro ritmi evolutivi e delle loro diversità di genere e cultura. L’orientamento psicopedagogico al quale questo nido fa riferimento attinge, a pedagogisti noti quali: Owen, Froebel, Agazzi, Montessori e lo psicologo Piaget, così come anche Mahler e Bowlby, ma si lega in particolare ai nomi della pedagogia contemporanea che hanno dato impulso fondamentale ad una nuova impostazione progettuale del nido realmente finalizzata alla formazione primaria del bambino. In particolare: Frabboni (Università di Bologna), Malaguzzi, fondatore dei nidi di Reggio Emilia, Battista Quinto Borghi e non da ultimo lo studioso americano Gardner: tutti pedagogisti riconosciuti a livello nazionale ed internazionale. Basilare e imprescindibile il rapporto con la famiglia, la quale viene coinvolta quanto possibile tanto nella gestione sociale quanto nel percorso educativo. Si intende così rispondere al bisogno di creare un rapporto di reciproca, serena fiducia tra educatore e genitore, una fiducia che tenga distinti i ruoli andando da un lato a consolidare la professionalità dell’educatrice, dall’altro a confermare la fiducia che il genitore ripone nell’educatrice. I genitori partecipano anche alla gestione sociale del nido attraverso il Comitato di gestione.
Ciò che si propone di fare il nido è approffittare dell'incredibile capacità di apprendere che ha il bimbo nei primi 36 mesi di vita e cercare di sollecitare con il gioco, con la lettura, con i laboratori espressivi le diverse intelligenze presenti secondo la teoria di Gardner creando quindi dei campi di esperienza. Ogni campo di esperienza corrisponde ad un' area cerebrale da stimolare, affinchè si possano sviluppare le molteplici potenzialità. Educare significa inoltre porsi dalla parte del bambino, riconoscendo che ciò che i bimbi apprendono non discende solo da un rapporto causa-effetto tra insegnamento e risultato, ma spesso nasce da proposte, da curiosità, da scoperte dei bambini stessi. Il tutto in un rapporto di co-costruzione al quale collaborano il bambino e tutti gli altri attori per lui significativi all'interno di un ambiente educativo "intenzionale"quale è il nostro nido. Tutto ciò stimolando e consolidando le competenze del bambino attraverso una didattica del fare e dello scoprire, invitando il bambino ad esplorare il mondo colorato degli oggetti, a toccarlo, a guardarlo, a manipolarlo, trasformarlo. A ciò si affianca la pratica della cura, come pratica pedagogica fondante, perchè la cura aiuta il bambino a comprendere il significato dell'aver cura di sè e quindi dell'aver cura degli altri. Gli esseri umani nascono fragili e tale fragilità non discende solo dal fatto che nascono dipendenti dagli altri, ma è anche una fragilità del sentimento vitale che sostiene la fatica del crescere. Proprio questa fragilità rende necessaria la cura di sè, l'imparare ad aver cura di sè, imparare la passione per la ricerca dell'arte del vivere. E' qui che si inscrive la ragion d'essere dell'educazione: coltivare nel soggetto educativo la passione per la cura di sé, quindi accompagnare il bambino, nel processo di costruzione di quegli strumenti cognitivi ed emotivi necessari a tracciare con autonomia e con passione il cammino dell'esistenza, avendo cura che ogni giorno, ogni attimo siano attualizzazione di un processo di donazione di senso.
Tratto da: Asilo Nido comunale Marco da Cles Albignasego – Cooperativa Progetto Now Programmazione Didattica ed Educativa anno scolastico 2009-2010

mercoledì 8 settembre 2010

Il modello psicocorporeo, psicoemozionale

Questo modello parte dal corpo come ricettore ed emettitore di messaggi tonici e gestuali in rapporto con una fantasmatica personale. Il corpo nella sua espressività analogica è soggetto di pulsioni e desideri, risonanza di fantasmi originari universali come di vissuti fanatsmatici legati alla storia dei singoli. La dimensione fantasmatica è quella particolare situazione confusiva dove non si distingue il "sé" dal non "sé", il dentro dal fuori, il corpo proprio dal corpo altrui, è un contesto definibile come allucinatorio, in quanto compaiono e scompaiono oggetti e parti di oggetti, immagini e sensazioni, rumori. La teoria delle relazioni oggettuali implica la trasformazione delle relazioni interpersonali in rappresentazioni interiorizzate di relazioni. I bambini nel percorso di crescita non interiorizzano un oggetto o una persona, ma un' intera relazione. Il corpo fantasmatico è quindi un corpo in relazione con l'inconscio e il fantasma primitivo per eccellenza, archetipo universale dell'identità è quello di fusione legato alla perdita del corpo in risonanza alla nascita vissuta come rottura fusionale che agisce nell'immaginario lungo tutto il corso della nostra vita.Il mondo fantasmatico è anche l'espressione attraverso il corpo della vita interna soggettiva, della pulsionalità, dei desideri e delle comunicazioni deliranti, visibile nella trasformazione gestuale-mimica e posturale all'interno della relazione terapeutica. La relazione corporea emozionale è un'esperienza reale ed il corpo vissuto ne è il soggetto, è una relazione mediata dal gesto che accompagna, prolunga e diversamente dal dialogo tonico-fusionale permette la trasformazione del vissuto fantasmatico in desiderio dandone significato simbolico. La comunicazione fra l'adulto-educante ed il bambino parte dalla soddisfazione dei bisogni primari del bambino e si aggiungono manipolazioni, contatti, carezze che gli consentono di raggiungere momenti di deconrazione tonica tali da renderlo disponibile alla relazione corporea-affettiva durante la quale emerge il ricordo tonico della relazione con la madre. Il dialogo tonico emozionale è uno strumento di espressione e congiunzione tra bisogni e desideri e fra realtà e fantasia, facilita il passaggio dal corpo materno al corpo dell'educatore che viene vissuto come oggetto esterno, fonte di piacere e di dispiacere, di contatto e di distacco, di attrazione e di repulsione. Così il bambino può riporre dentro di sè l'immagine affettivizzata della madre ed iniziare il proprio cammino come essere corporeamente ed affettivamente autonomo. L'educatore diviene spazio transizionale fra la relazione materna e la relazione di individuazione e strutturazione di sè, diventa il primo oggetto privilegiato dopo la madre, con il quale stabilire un contatto rassicurante, nuovo e stimolante che faciliti le esperienze di curiosità, di esplorazione ed integrazione dello spazio, delle relazioni oggettuali, degli oggetti e degli altri. Il contatto tonico-corporeo rappresenta la sintesi delle sensazioni e delle emozioni vissute con persone diverse ma elaborate tramite la stessa matrice affettiva: la funzione tonica. Il bambino in questa particolare forma di comunicazione, può trovare se stesso e nello stesso tempo ritrovare il contatto sensoriale e rassicurante sperimentato con la madre, tessuto di fondo per lo stabilirsi di altre relazioni e per l'evoluzione dei processi di autonomia.
Tratto da "Spazio Nido" Il modello psicocorporeo, psicoemozionale
corso a cura di Pierpaola Finocchiaro
ed. La scuola, Padova 2010
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martedì 7 settembre 2010

Il modello relazionale di tipo psicoanalitico

La metodologia dell’osservazione, secondo la psicoanalisi, è di tipo interpretativo. I vari aspetti della vita del bambino sono osservati solo a partire da quello che l'educatrice sente emotivamente nell'incontro, nel rapporto con il bambino. Il problema per la psicoanalisi è quello di spiegare ciò che appare attraverso ciò che non appare. Poichè il centro dell'attenzione si sposta da ciò che e manifesto a ciò che è latente, ciò che si osserva è "l'altra scena della realtà", quella "degli affetti, dei vissuti, della fantasia, dei fantasmi". Perciò, nell'osservazione di un altro essere umano, l'osservatore, nel nostro caso l'educatrice, non può considerare l'oggetto osservato e cioè il bambino come un oggetto morto da vivisezionare, ma come un oggetto vivo che entra in una "intima relazione" con l'osservatore stesso. In questa "intima relazione" si definisce in termini storici e personali una influenza del sè sull'oggetto (dell'educatrice sul bambino) e dell'oggetto sul sé dell'osservatore (del bambino sull'educatrice). Qualora si tenti di esorcizzare questa reciproca influenza negandola si ha "l'illusione di osservare". Cosicchè ciò che per gli etologi va puntigliosamente eliminato dagli psicoanalisti viene appassionatamente considerato. Gli strumenti sofisticati di rilevazione, ed anche quelli meno sofisticati (come la rilevazione carta e matita) sono visti come ostacolo all'osservazione. La rilevazione di per sè è intesa come ostacolo, anzi come difesa dal coinvolgimento emotivo. Il problema nel nostro caso diventa quello di costruire la propria capacità di conoscere scoprendo, nel rapporto, che il bambino che e di fronte a noi evoca il bambino che è dentro di noi. Ciò avvicina il ruolo dell'educatore al ruolo del genitore. L'educatore di fronte al bambino da una parte tende a differenziarsi dal ruolo di genitore circoscrivendo il proprio comportamento alla funzione istituzionale e perciò rinunciando a " qualsiasi familiarità" nel rapporto e riducendo il bambino ad "allievo", dall'altra tende ad accomunarsi al ruolo ed alla posizione del genitore nei confronti del bambino. Ciò avviene proprio a partire dal fatto che gli educatori "sono, come i genitori, degli adulti in rapporto educativo con i bambini". L'educatore" si trova di fronte a due bambini: a quello da educare, dinanzi a lui, e a quello rimosso, dentro di lui. Non può fare altro che trattare quello così come ha vissuto in sé questo". E' solo a partire da una continua opera di analisi delle componenti transferali e controtransferali che ci sono nel rapporto con ciascun bambino che è possibile superare l'azione educativa così come avviene, quando l'educatore agisce inconsciamente "sotto la spinta della propria costellazione edipica". I risultati che e possibile raggiungere ponendosi nell'ottica psicoanalitica quindi sono alquanto diversi rispetto a quelli degli etologi. L' interazione, non è vista tanto nei suoi contenuti rilevabili, quanto come una "intima relazione" in cui prevalgono i contenuti emozionali (tant'è vero che, in psicoanalisi, si preferisce parlare più di rapporto, di incontro, che di interazione); ciò che si costruisce nel bambino e nell'educatore non è qualcosa che sia facilmente incasellabile nei due binari della stabilità e dell'individuazione, o qualcosa che si discosta da queste, ma è un complesso fenomeno di identificazioni reciproche (reso ancora più complesso dalle reciproche identificazioni esistenti fra educatrici e genitori); perchè vi sia un consolidamento del sentimento di identità nel bambino ci deve essere una capacità da parte dell'educatrice (come prima della madre) di andare oltre la stabilità e l'individuazione nel rapporto, di rischiare, di avvicinarsi al bambino, di iscriverlo in un progetto pedagogico che non sia altro che questo rischio e la capacità di "uscirne fuori" non sotto la spinta inconscia a ripetere e a rivivere i vecchi conflitti della propria infanzia, ma recuperando una operatività che nasce dall'incontro di due esseri che possono reciprocamente arricchirsi. In conclusione l'approccio psicoanalitico propone una strada di riavvicinamento al bambino e prima di tutto al bambino che è dentro di noi, che rifugge dai falsi avvicinamenti ottenuti attraverso le griglie ed i curricoli. Un approccio cioè che può permettere un incontro col bambino, e non una ennesima lettura dell'infanzia. Ciò però a patto che a fianco all'integrazione spaziale e temporale vi sia il vincolo decisivo della integrazione sociale, cioè a patto che la psicoanalisi non rinunci alla storicizzazione del bambino.

Fonte:www.lacosapsy.com/nidi.htm

lunedì 6 settembre 2010

Il modello relazionale di tipo etologico

La metodologia di osservazione degli etologi è di tipo non interpretativo. I vari aspetti della vita del bambino nell'istituzione, l'interazione con gli adulti, con i pari, il tipo di operazioni fatte con gli oggetti, tutte queste cose sono osservate cercando di rilevare ciò che accade oggettivamente. La preoccupazione principale, da questo punto di vista, sarà quella di eliminare qualsiasi componente soggettiva, emotiva, o al massimo di "metterla nel conto" di oggettivare anche questi aspetti dell'interazione, dello scambio. Non per niente le ricerche più raffinate cercano di usare tecniche sofisticate e precisi strumenti che permettono di raggiungere una sempre più approssimata rilevazione che permetta, a sua volta, una vivisezione la più asettica possibile di quel lembo di realtà che si vuole indagare. I risultati che è possibile raggiungere guardando la realtà istituzionale secondo quest'ottica sono notevoli. Basti considerare che la maggior parte delle ricerche fatte in questi anni nei Nidi, soprattutto, e nelle materne partono da queste premesse e stanno contribuendo in maniera notevole al superamento delle insufficienze dei modelli precedenti. Basti pensare alla rilevanza che il concetto di interazione ha ormai nei Nidi, ed alla vera e propria rivoluzione "copernicana" rappresentata dallo spostamento dell'asse focale dell'adulto dalle attività alle routines, e soprattutto ai concetti di stabilità e di individuazione del rapporto adulto-bambino che ormai sono entrati "nel sangue" delle operatrici soprattutto nei Nidi. Ma qualora ci si ponga in quest'ottica ciò che vien fuori è anche una conoscenza asettica, quasi strumentale del bambino; una sottovalutazione dell'importanza che l'emotività ha nel processo di osservazione. Da ciò una visione del bambino che rimane astorico, depurato dei connotati culturali specifici - che pure determinano, fin dall'inizio della vita, la sua appartenenza -, un bambino interattivo, quindi, ma spoglio della sua identità culturale. L'educatrice, d'altro canto, nei confronti del bambino si dimostra attenta, anche essa interattiva, ma anch'essa ridotta alla sua componente più professionale, anch'essa spoglia della sua identità più piena. In conclusione, se il modello gestionale e soprattutto quello curricolare sembrano rivolgersi consapevolmente solo alla parte orbitale del sé del bambino e lasciano del tutto allo sbaraglio la formazione della parte nucleare del sé (riducendo il bambino ad alunno e l'educatrice a insegnante), il modello relazionale di tipo etologico sembra consapevolmente indirizzato a rafforzare nel tempo (stabilità) e nello spazio (individuazione) la parte nucleare del sé del bambino, ma: 1) non sembra consapevole fino in fondo di quello che Grinberg chiama trezo vincolo di integrazione del sé: l'integrazione sociale. "Il terzo vincolo, di integrazione sociale si riferisce alla connotazione sociale dell'identità ed è dato dalla relazione, fra aspetti del se e aspetti degli oggetti (madre più educatrice) attraverso i meccanismi di identificazione introiettiva e proiettiva" e soprattutto 2) non è consapevole del fatto che la qualità delle identificazioni, degli attaccamenti del bambino con gli adulti responsabili della sua educazione non può essere affrontata e analizzata con sufficiente approssimazione se non si abbandona l'oggettivismo etologico e non si è disposti a rischiare un'altra scoperta avvicinandosi al bambino, e cioè la scoperta del bambino che è dentro di noi. Ma questo è possibile solo se l'emotività, invece di essere eliminata o "tarata", viene giocata fino in fondo nel rapporto col bambino.
Fonte:
www.lacosapsy.com/nidi.htm

venerdì 3 settembre 2010

I modelli relazionali

La critica ai modelli custodialistici etc, sia nell'approccio gestionale, sia in quello curricolare, nella pratica viene circoscritta ad un solo momento della giornata del bambino nell'istituzione: il momento delle "attività". Tutti gli altri momenti - le cosiddette routines - e cioè la gran parte del tempo di permanenza del bambino nell'istituzione stentano a liberarsi dall'involucro dell'istituzione totale. Così le esigenze istituzionali - insufficientemente discusse - tendono a sovrastare ed a schiacciare quelle del piccolo ed indifeso fruitore del servizio: gli orari di entrata e di uscita, le modalità di passaggio del bambino dalla madre all'istituzione e viceversa sono decise più in base alle priorità ed alle esigenze degli adulti che non del bambino. Il pasto è un momento in cui l'esigenza biologica ed igienico-sanitaria tende ad essere soddisfatta senza alcuna dialettica con l'esigenza del bambino di avere un rapporto caldo e ravvicinato con l'adulto, così pure nel momento del cambio e dell'addormentamento. Nei momenti del cambio, dell'addormentamento, nei momenti di crisi del bambino, e prima ancora nei momenti dell'inserimento ogni attaccamento da parte del bambino verso qualche oggetto, anche se questo pare avere un potere consolatorio per il bambino e quindi divenire un aiuto per l'educatrice, viene da questa vissuto come un attentato all'atmosfera asettica della sezione e perciò con vari sotterfugi "disarticolato" ed impedito. E' stata proprio la critica a questi aspetti della vita del bambino nelle istituzioni che ha permesso l'emergere in questi ultimi anni di quelli che si potrebbero definire come modelli relazionali. E' importante distinguere all'interno dei modelli relazionali 2 filoni, quello etologico e quello psicoanalitico, poichè anche se per alcuni versi i risultati raggiunti usando il primo o il secondo tipo di approccio al bambino sono simili, vi sono anche delle differenze che è opportuno rimarcare onde evitare equivoci. Da entrambi i filoni emerge il presupposto della priorità dell'attaccamento (dei processi di identificazione) sulla "socializzazione" (intesa come inserimento nel gruppo di pari); la necessità dell'osservazione e della "programmazione" di tutti i momenti di permanenza del bambino nell'istituzione; la considerazione che il modello pluricentrico, (bambino – educatrice - madre), rispetto al modello monocentrico (bambino-madre), non ha di per sé alcuna facoltà taumaturgica; la necessità di superare il tourbillon degli adulti intorno al bambino ed il rapporto " da gruppo a gruppo "; l'importanza, per la formazione della personalità del bambino, che vi sia una continuità fra i processi di attaccamento (di identificazione) innescati fra bambino e madre (contraddistinti dalla stabilità, dalla individuazione del rapporto e dal calore dello stesso) e la qualità dei rapporti che devono intercorrere fra bambino ed educatrice; l'importanza che l'osservazione del bambino non sia circoscritta all'osservazione dei progressi che il bambino fa sul piano intellettivo, ma sia estesa a tutti gli aspetti della vita quotidiana del bambino, e di tutti coloro che interagiscono con lui nell'istituzione.
Detto questo occorre anche distinguere quello che di diverso c'e fra i due filoni: quello etologico e quello psicoanalitico. Al di là del confronto in termini generali fra le due teorie a noi interessa in questa sede vedere il diverso modo di concepire l'osservazione da parte di etologi e di psicoanalisti poichè la diversa metodologia usata dagli uni e dagli altri comporta, di fatto, l'osservazione come di due bambini diversi, la fissazione cioè di punti focali che finiscono con il proporre due ipotesi di programmazione educativa per niente simili.
Fonte:
www.lacosapsy.com/nidi.htm

mercoledì 1 settembre 2010

Il modello curricolare

In talune situazioni, e soprattutto dove ci sono state negli anni precedenti a quelli '70 importanti esperienze nel campo delle scuole per l'infanzia, si verifica da una parte il travaso nel Nido, in maniera più o meno acritica, di contenuti e di metodi didattici propri della scuola per l'infanzia, dall'altra la puntualizzazione nelle scuole per l'infanzia di un insieme di programmi, schede, griglie etc. che cercano di definire un curricolo il più possibile puntiglioso e preciso. A livello dei contenuti si cerca di definire, nella scuola per l'infanzia prima, e nel Nido poi, un andamento per tappe che parte da una concezione riduttiva del bambino e dei suoi bisogni, una concezione che tende a vedere esclusivamente le esigenze di sviluppo del bambino secondo determinati standard, non riconoscendo ciò che pure avviene sul piano dell'affettività, sia nel rapporto adulto-bambino, sia all'interno del gruppo dei pari, e quindi non rivedendo mai criticamente ciò che in definitiva è stata l'áncora di salvezza, che e giù, sott'acqua, nelle zone basse, quelle degli istinti, che non si vede perciò, ma che pure e ciò che ha permesso che, anche in questi contesti, la barca istituzionale non andasse alla deriva. Da un punto di vista metodologico, conseguentemente, vi è anche qui l'enfasi della produzione, e quindi dei momenti delle cosiddette attività e la sottovalutazione delle routines, ma - in questo caso - vi e una riduzione delle attività solo a quelle che abbiano un senso sul piano dello sviluppo, del progresso, a quelle cioè che possono essere spezzettate in modo tale che sia possibile sempre dire "si fa prima questo, poi quello, poi quell'altro ancora". Tipico del modello curricolare nei Nidi è la suddivisione dei bambini in 4 sezioni. Poiché si privilegiano le tappe dello sviluppo si scelgono le quattro sezioni che permettono al bambino una più precisa collocazione nel curricolo, anche se ciò accade a danno della stabilità del rapporto adulto-bambino e quindi di un legame più preciso e più intimo. Ad ogni modo la professionalità delle educatrici, all'interno di questo modello, si arricchisce ulteriormente: le modalità di lavoro si scientificizzano ulteriormente, intorno alle educatrici ed alle inservienti, di tanto in tanto (o continuamente) agiscono altri operatori dell'infanzia (atelieristi-mimi-animatori vari), si sottolineano di più le tecniche, la didattica, anche se, come nel modello precedente, la didattica è circoscritta al "momento delle attività". E' soprattutto la ricerca sul bambino svolta in ambito cognitivista (Piaget - Bruner - Wigotsky etc.) che contribuisce a ridefinire il bambino come "bambino cognitivo" diremmo oggi, come bambino cioè capace di padroneggiare tutti i linguaggi (in questo l'esperienza emiliana si distingue da altre esperienze più totalitariamente orientate verso la conferma della supremazia del linguaggio verbale), come bambino che ha una intelligenza pronta ed allenata, che sperimenta, indaga, cataloga il mondo che lo circonda, con un procedere nelle difficoltà che è scandito in maniera sempre più raffinata su quelle che, secondo gli studi più aggiornati, sono le tappe in base alle quali è opportuno progredire. Nella versione più esasperata (abbiamo già citato più volte le "battagliere" pagine di Frabboni sul curricolo didattico) si tratta di un'urgenza di omologazione, di appiattimento del bambino, di qualsiasi bambino, su di una visione dell'infanzia che è strettamente legata ad esigenze di funzionalizzazione della personalità alle esigenze della produzione, al superamento dei gap intellettuali, etc. Nella maggioranza dei casi vi è una più o meno conscia esigenza di adattamento del bambino (e della famiglia) ad un contesto socio-culturale che va rapidamente mutando. Tale contesto propone nuovi valori che tendono ad inglobare quello che di inglobabile c'è nei valori tradizionali della società emiliana fino a creare una sintesi nuova. Anche nel modello curricolare la suddivisione dell'affetto è determinante nel definire l'identità del bambino. Nel modello gestionale, però, come abbiamo visto, l'educatrice tende a reagire in maniera inconsapevole, casuale e massificante, usando crudamente la corresponsione o il ritiro dell'affetto, senza mediazioni di sorta. Le educatrici che operano in un clima curricolare, invece, agiscono in maniera più complessa affinchè il bambino corrisponda alla fine all'immagine scientifica dell'infanzia per la quale è programmato. Intanto vi è una consapevolezza dei fini cognitivi (che come abbiamo visto prima però non è ciò che impedisce che la barca istituzionale vada alla deriva). In secondo luogo l'intervento non e più casuale e massificante, ma determinato dall'adulto in base al curricolo, e perciò anche individualizzato. Infine in questi contesti la selezione si comincia a misurare (come sarà domani nella scuola elementare) sul rendimento: per cui la corresponsione (o il ritiro) dell'affetto tenderà ad avvenire in base all'emergere o meno del bambino (o di quel gruppo di bambini) dallo sfondo.
Fonte:
www.lacosapsy.com/nidi.htm

lunedì 30 agosto 2010

Il modello gestionale

La critica al modello istituzionale è avvenuta storicamente verso la fine degli anni 60 e si è incentrata inizialmente intorno a due capisaldi: la "socializzazione" e la "gestione sociale".La "socializzazione" innanzitutto che in quel contesto, in quel momento storico era intesa, non come inculturazione, ma come inserimento nel gruppo.La "socializzazione" è il cavallo di battaglia delle scuole per l'infanzia e nidi all'inizio degli anni 70. Nel rapporto adulto-bambino, così come nel rapporto fra pari, viene privilegiata dai fautori di questo modello la dimensione "gruppo".Il bambino viene così a trovarsi in una doppia rete di rapporti: il gruppo degli adulti da una parte, il gruppo dei pari dall'altra. Una impostazione di questo genere in primo luogo pone l'adulto, responsabile del processo educativo all'interno dell'istituzione, in una posizione apparentemente comoda: al riparo sotto l'ombrello della "socializzazione" l'operatrice può legittimamente attendersi che il modello policentrico così definito, prima o poi di per sè partorisca qualcosa di buono per il bambino. La "socializzazione" cioè pare avere una funzione catartica sui vari aspetti della vita del bambino.Tale posizione però è solo apparentemente comoda in quanto che poi, nel grigiore della quotidianità istituzionale, l'adulto oscilla fra una adesione entusiastica al mito della "socializzazione" e la malinconica constatazione che c'è qualcosa che non va, nonostante il superamento dell'assistenzialismo.I giochi, le attività socializzanti intanto durano, soprattutto nei Nidi, pochissimi minuti (l'ombrello della "socializzazione" è cioè troppo stretto), e poi sedimentano una folla di esclusi che è tanto più imponente quanto più enfatizzato è il dato della "socializzazione " .L'enfasi della "socializzazione" in secondo luogo si sposa facilmente con una concezione del rapporto adulto-bambino che, partendo dall'assunto "il bambino deve socializzare", finisce col vedere con sospetto ogni tentativo da lui fatto di mettere in piedi una particolare forma di attaccamento con questo o con quell'adulto (anche particolari legami fra pari vengono visti con sospetto).Ciò fa nascere nella sezione un'aria di asetticità: i rapporti devono essere di tutti con tutti, ogni particolare mozione degli affetti deve essere bandita. Questa anestesia dei sentimenti, coltivata dagli adulti su se stessi innanzitutto e sui bambini poi, è alla base dei metodi usati da molte istituzioni all'inizio degli anni '70. In tutti i casi l'indicazione di fondo era che il gruppo degli adulti doveva rapportarsi in quanto tale al gruppo dei bambini: l'accento era posto non tanto sul singolo, quanto sulla comunità. Il rapporto, scremato di ogni connotato particolare, individuale, doveva essere da gruppo a gruppo. Insieme al mito della "socializzazione" avanzano all'inizio degli anni '70, sull'onda di un organico progetto che tende ad allargare i momenti di partecipazione nella società e nella scuola in particolare, i progetti di attuazione della cosiddetta gestione sociale.La vittoria, che aveva portato nel volgere di pochi anni al nascere delle scuole per l'infanzia e degli Asili Nido comunali, era stata anche la vittoria sulla separatezza delle strutture scolastiche e sulla manipolazione che definiva il rapporto fra queste istituzioni e le famiglie. Perciò la riforma, che sul piano del rapporto con il bambino era approdata alla stesura dei programmi educativi incentrati sul concetto di "socializzazione", sul piano del rapporto con le famig1ie ed il territorio sperimenta la gestione sociale. La consultazione delle famiglie e, in taluni casi, delle forze politiche e sociali (del paese o del quartiere), la delega ai "Comitati" di una parte del potere e della responsabilità, la programmazione della discussione sui contenuti e sui metodi didattici, dovrebbero favorire la cogestione educativa. Ciò che accade è però, tranne qualche rara eccezione, il nascere di una falsa dialettica che conduce o all'ergersi del gruppo delle operatrici in una posizione "pedagogica" nei confronti dei genitori, o, più raramente, ad una contrapposizione fra genitori che usano la gestione come momento di controllo fiscale contro il gruppo di lavoro e le operatrici che si arroccano su posizioni di splendido isolamento. La crisi di un rapporto così concepito appare sempre più evidente col passare degli anni. Il modello gestionale, implica una professionalità dell'operatrice che da una parte comincia a privilegiare il dato educativo sul dato assistenziale, dall'altra pone la gestione sociale al centro del progetto di ridefinizione del proprio ruolo. La nuova professionalità, cioè, si basa inizialmente da una parte su una educatrice che reagisce al clima istituzionale che vuole eliminare idealizzando molto il proprio ruolo, il rapporto "naturale" con il bambino (o meglio con il gruppo di bambini) ed il contesto con il quale la propria istituzione deve interagire. Dall'altra su di un progetto educativo che privilegia la formazione di una identità che, come nel caso della famiglia che mantiene la parvenza di famiglia unita, potremmo definire solo parzialmente capace di andare verso l'autonomia. Una identità, si potrebbe aggiungere, che nasce dalla spontaneità, dalla casualità con la quale si determinano le forme individuali di attaccamento e di relazione fra adulto e bambino, e che perciò finisce col risentire in termini molto pesanti dei meccanismi selettivi usati consciamente o inconsciamente dalle educatrici. E, poiché la selezione, in questo contesto, è un qualcosa che non si misura sui problemi di rendimento ma proprio in termini di suddivisione dell'affetto, vien fuori che i valori di cui l'educatrice e depositaria diventano in maniera del tutto acritica, del tutto casuale, del tutto massificante le ragioni (sconosciute), in base alle quali si definisce una debole identità del bambino. Identità debole poiché il bambino ha come alternativa o lo sforzo di definirsi nel gruppo secondo quelli che lui presuppone essere le aspettative dell'adulto (che solo così è disposto a dimostrare il proprio affetto per lui) oppure essere marginalizzato e quindi nell'impossibilità di definire una propria identità in rapporto a chicchessia.

Tratto da:www.lacosapsy.com/nidi.htm